Il Dialetto genzanese
sito dedicato alla cultura e alle
tradizioni di Genzano di Roma
Note di grammatica
Quadro generale
Per iniziare, occorre specificare che Genzano, insieme ai Castelli Romani, si trova alla confluenza di quattro zone dialettali ben distinte (dialetti di tipo sabino a nordest, parlate ciociare a sudest, dialetti della costa tirrenica meridionale e il fortissimo polo d’attrazione del romanesco) e ha conosciuto durante la sua lunga storia l’insediamento sia stagionale sia stanziale di moltissimi lavoratori provenienti da altre zone dell’antico Stato Pontificio (Marche, Ciociaria, Abruzzi). Tutto questo ha fatto sì che il suo dialetto da un punto di vista morfologico e lessicale presenti elementi misti, che testimoniano le varie influenze cui è stato soggetto. Inoltre, nonostante tra i vari paesi dell’area castellana ci sia sempre stato un forte campanilismo, i loro dialetti sono molto più simili di quello che si potrebbe pensare a prima vista e c’è da supporre che si assomigliassero ancor di più in tempi passati (per esempio, in passato anche ad Albano e ad Ariccia c’era il maschile che terminava in u, come testimoniano alcuni soprannomi locali, dove queste forme arcaiche dialettali si sono cristallizzate).
In ogni caso, se per alcuni dialetti della ns. zona disponiamo di descrizioni anche ottocentesche (p.e. per Velletri e per Marino) la situazione documentale per quanto riguarda Genzano è molto scarsa, soprattutto per quel riguarda documentazioni antecedenti al Novecento. A tutt’oggi non abbiamo testi in dialetto che siano stati con sicurezza registrati nell’Ottocento o prima, e anche i documenti per il Novecento sono piuttosto sporadici. Si può dire a buon diritto che a Genzano si è parlato e si continua a parlare molto in genzanese, ma si è scritto pochissimo in dialetto. Di qui la necessità di considerare il genzanese come dialetto essenzialmente parlato e trascritto solo di recente.
I sostantivi neoneutri
Come molti altri dialetti mediani, ossia dell’Italia Centrale, il genzanese distingue oltre al maschile e al femminile, un genere definito dai linguisti neoneutro, ossia sostantivi considerati dal parlante come innumerabili (in generale qualcosa di unico, come il Sole, o nomi di sostanze, come il sale, zucchero, nonché elementi del discorso sostantivizzati, ecc...).
Quindi, in genzanese avremo:
desinenza in -a oppure -e ed articolo determinativo la/a per i femminili (a sorella, a matre) |
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desinenza in -u oppure -e ed articolo determinativo lu/u per i maschili (u sorellu, u marescialle) |
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desinenza in -o oppure -e ed articolo determinativo lo/o per i neutri (o scuro, o fume) |
Di questa distinzione tra maschili e neoneutri non sono consapevoli persino molti genzanesi: anche se tutti seguono nel parlare questa regola, quando scrivono possono a volte fare confusione, per la tendenza a ipercaratterizzare la propria lingua e a scrivere con la «u» anche quando dicono «o».
Eppure, nessun genzanese confonde:
u giornu (il giorno inteso come data o come giornata) con o giorno (il giorno inteso come periodo di luce solare) |
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u caffè (il bar, la tazzina di caffè) con o caffè (il caffè inteso come sostanza) |
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Allo stesso modo si dice:
T’ònno levato a séte c’o preciutto (prosciutto come sostanza).
Te ‘ttaccheria all’ancinu comme ‘n preciuttu (il prosciutto intero).
Da notare che i femminili plurali in -e, come in romanesco, sono invariabili:
sse educazzione (queste maniere), e gente (le persone).
Nel parlato si usano quasi esclusivamente le forme brevi dell’articolo determinativo: «a», «u», «o». È però chiaro che un tempo si dicesse «la», «lu», «lo», e anche per ragioni di metrica spesso le forme estese si ritrovano nei canti e in altre composizioni poetiche popolari.
In alcuni casi, si usa anche la forma romanesca «‘r», quasi esclusivamente in preposizioni articolate:
u fiu der re; i sordati der re; e cose der monno; e più disgrazie der monno; u scatarru der diavolo; n’anima der purgatorio; a chiesa der Dòmo; vicino ar Domo; su ar Commune, ecc...
Come si vede dagli esempi, il sostantivo maschile retto dalla preposizione resta in -o (monno, diavolo).
Ovviamente, ciò non toglie che si possa anche dire u fiu d’u re, e cose d’u monnu, ecc...
Altro uso interessante è quello della preposizione articolata «ar», usata per date e giorni precisi: ar dieciotto settèmbre se tenéva da fà a cresima.
Alcuni rari sostantivi maschili possono avere la terminazione in -o a seconda del contesto. È questo ad esempio il caso di annu:
chist’anno |
chill’annu |
‘n capo all’anno |
e fu l’annu che… |
Se vedémo natr’anno |
è passatu natr’annu. |
Più diffusa (quasi generazionale, si direbbe) l’alternanza tra le forme maschili o neutre antiche in -e e quelle regolari in -u oppure –o:
u marescialle |
u maresciallu |
o fume |
o fumo |
Verbi e ausiliari
Come anche negli altri dialetti dei Castelli Romani, nel genzanese standard l’ausiliare dei tempi composti è «essere» anche per i verbi transitivi. Per esempio, si dice: sò fatto, ero fatto, sarajo fatto. Solo al passato prossimo, tuttavia, si mantiene l’ausiliare «avere» nella 3° persona singolare e plurale:
sò fatto |
si fatto |
ha fatto |
sémo fatto |
séte fatto |
ònno/hanno fatto |
Nei dialoghi satirici pubblicati qualche tempo fa a firma Lucia ‘a Panacca, compare la forma arcaica ènno fatto, che tuttora è usata in altri dialetti castellani e che forse un tempo era diffusa anche a Genzano. In seguito, probabilmente per influsso del romanesco, la forma «ènno» per «sono» è scomparsa, sostituita da «sò» come terza persona plurale del verbo «essere» e da «ònno» come ausiliare. A Genzano «ènno» attualmente resta vitale solo in unione alla forma pleonastica «ce» (c’ènno ‘n saccu de munelli; ce n’ènno tante) ma la sua antichità è testimoniata anche dal fatto che persino Dante la usa in un luogo della Divina Commedia: Intesi ch’a così fatto tormento/ enno dannati i peccator carnali/ che la ragion sommettono al talento (Inferno V, 37-39).
Paradigma del verbo «èsse» (essere), nei modi e tempi principali.
Modo Indicativo
Presente io sò tu si issu/essa è noi sémo voi séte issi/esse sò (ènno)
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Imperfetto io èro tu èri issu/essa èra noi èssimo voi èssivo issi/esse èrino
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Passato remoto io fui* tu fosti* issu/essa fu noi èssimo voi èssivo issi/esse funno
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Futuro semplice Io sarrajo tu sarrai issu/essa sarrà noi sarrémo voi sarréte issi/esse sarranno
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Passato Prossimo io sò statu/stata tu si statu/stata issu/essa è statu/stata noi sémo stati/state voi séte stati/state issi/esse sò stati/state
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Trapassato Prossimo io èro statu/stata tu èri statu/stata issu/essa èra statu/stata noi èssimo stati/state voi èssivo stati/state issi/esse èrino stati/state
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Trapassato Remoto
Non attestato
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Futuro anteriore io sarrajo statu/stata tu sarrai statu/stata issu/essa sarrà statu/stata noi sarrémo stati/state voi sarréte stati/state issi/esse sarranno stati/state
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*Il passato remoto è usato solo attualmente come tempo narrativo, per raccontare storie lontane nel tempo, ed è per lo più sostituito dal passato prossimo (soprattutto nella prima e seconda persona singolare: fui e fosti sono forme molto rare).
Congiuntivo Condizionale
Presente** io sia tu sia issu/essa sia noi sémo voi siate issi/esse sìeno
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Imperfetto io fusse tu fussi issu/essa fusse noi fùssimo voi fussiate issi fùssino (fùssero) |
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Presente io sarìa tu sarissi issu/essa sarìa noi sarìssimo voi sarìssivo issi sarìino
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Passato ** io sia statu/stata tu sia statu/stata issu/essa sia statu/stata noi sémo stati/state voi siate stati/state issi/esse sìeno stati/state
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Trapassato io fusse statu/stata tu fussi statu/stata issu/essa fusse statu/stata noi fùssimo stati/state voi fussiate stati/state issi fùssino (fùssero) stati/state
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Passato io sarìa statu/stata tu sarissi statu/stata issu/essa sarìa statu/stata noi sarìssimo stati/state voi sarìssivo stati/state issi sarìino stati/state
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**Il congiuntivo presente e passato è usato molto raramente e perlopiù per influsso
dell’italiano. Viene di solito sostituito dall’imperfetto o dal trapassato prossimo
dell’Indicativo o dall’imperfetto e trapassato del Congiuntivo.
All’imperativo solo alla seconda persona si conserva la forma originale del verbo essere (èssi); per le altre persone si usano le forme imperative del verbo «stà»: stémo, stéte.
L’ausiliare avere è mantenuto talvolta, sempre per influsso dell’italiano (e del romanesco), nella 2° persona del passato prossimo: ha’ (hai) capito, ha’ visto, ha’ ‘nteso, ecc… si alternano, persino nel discorso di una stessa persona, con le forme standard: si capito, si visto, si ‘nteso, ecc... Queste ultime varianti sembrano appunto quelle originali: un tempo i vecchi, come raccontava circa vent’anni fa una nonnina di 94 primavere, chiedevano ai loro interlocutori conferma che il discorso fosse chiaro, domandando: «Me si capito, me sicca?» E a loro si rispondeva, scherzosamente: «Te sò capito, te sòcca!»
Eccetto questo limitato uso come ausiliare, il verbo «avere» è sistematicamente sostituito in genzanese (come in tantissimi altri dialetti meridionali) da «tené»:
tèngo fame; tenessiate ‘n cenichettu de tresmarino; niciunu i sòrdi tenessimo, ecc…
Paradigma del verbo «tené» (tenere, avere), nei modi e tempi principali.
Modo Indicativo
Presente io tèngo tu tié/chié issu/essa tè noi tenémo voi tenéte issi tènno |
Imperfetto io tenévo tu tenévi issu/essa tenéva (tenéa) noi tenéssimo voi tenéssivo issi tenévino
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Passato remoto io ténni tu ténni issu/essa ténne noi tenéssimo voi tenéssivo issi tènnino
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Futuro semplice Io terrajo/tenerajo tu tenerai issu/essa tenerà noi tenerémo voi teneréte issi teneranno
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Passato Prossimo io sò tenuto tu si tenuto issu/essa ha tenuto noi sémo tenuto voi séte tenuto issi/esse ònno tenuto
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Trapassato Prossimo io ero tenuto tu eri tenuto issu/essa era tenuto noi èssimo tenuto voi èssivo tenuto issi/esse èrino tenuto
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Trapassato Remoto
Non attestato
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Futuro anteriore io sarrajo tenuto tu sarrai tenuto issu/essa sarrà tenuto noi sarrémo tenuto voi sarréte tenuto issi/esse sarranno tenuto
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Congiuntivo Condizionale
Presente
Non attestato
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Imperfetto io tenesse tu tenessi issu/essa tenesse noi tenessiamo voi tenessiate issi/esse tenéssino
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Presente io terrìa tu tenerissi issu/essa terrìa noi tenerìssimo voi tenerìssivo issi/esse tenerìino
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Passato
Non attestato
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Trapassato io fusse tenuto tu fussi tenuto issu/essa fusse tenuto noi fussimo tenuto voi fussiate tenuto issi/esse fùssino (fùssero) tenuto
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Passato io sarìa tenuto tu sarissi tenuto issu/essa sarìa tenuto noi sarìssimo tenuto voi sarìssivo tenuto issi sarìino tenuto
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Ovviamente, come anche in italiano, nei tempi composti il participio dei verbi transitivi (tené, vedé) si accorda al genere del complemento oggetto, solo quando quest’ultimo precede il predicato verbale.
sò tenuto a febbre |
a sò tenuta io, a febbre! |
sò visto chillu firme |
u sò vistu, chillu firme. |
Questo vale anche per i transitivi pronominali:
me sò magnato a pizza |
m’a sò magnata io, a pizza |
Nei verbi intransitivi (p.e. èsse, curre) il participio si accorda nei tempi composti al genere del soggetto:
Erino curzi giù pe a Croce Santa |
Sémo state noi e mejo |
Ci sono molte forme verbali irregolari, anche se molte di esse tendono a sparire, sostituite dalla forma standard veicolata dall’italiano colloquiale. Eccone qualche esempio:
stóngo |
sto |
dóngo |
do |
dichi |
dici |
tòsso |
tossisco |
capiscio |
capisco |
conoscio |
conosco |
créso |
creduto |
còmpro |
comprato |
nascì |
nacque |
misse |
mise |
Aggettivi e pronomi dimostrativi
Rispetto all’italiano standard, in cui sono normalmente usate come aggettivi e pronomi dimostrativi solo le forme «questo» e «quello», mentre hanno un uso più sporadico «sto» (nell’italiano colloquiale) e «codesto» (nell’italiano letterario), il dialetto genzanese, come del resto anche altri dialetti, mantiene vive diverse forme:
Maschile sing/pl Femminile sing/pl Neutro[1] sing.
chistu/chisti |
chésta/chéste |
chésto |
chillu/chilli |
chélla/chélle |
chéllo |
chissu/chissi |
chéssa/chésse |
chésso |
Quest’ultima serie di aggettivi e pronomi dimostrativi corrisponde all’it. letterario «codesto», in quanto si usa per indicare persona o cosa vicina o relativa alla persona a cui ci si rivolge, ma a differenza di «codesto» viene usato in genzanese con maggior frequenza.
Oltre a queste forme piene, esistono le forme abbreviate, solo aggettivali:
stu/sti |
sta/ste |
sto |
ssu/ssi |
ssa/sse |
sso |
La diversità delle vocali toniche in chistu/chésta/chésto e chillu/chélla/chéllo è dovuto alla metafonesi, ossia all’influsso della vocale della sillaba seguente (i, u): questo vale, ovviamente, per chistu/i e chillu/i.
E ora qualche esempio. Uso come pronome:
Chistu a notte se lamenta sempre. |
Chelle gn’erino bussato, e a chillu gne aprinno. |
Chesso n’ t’o saccio a dì. |
Uso come aggettivo:
De chilli tempi venne u patrone. |
U maritu de donna Livia nun vuleva che fusse tajata, sta macchia. |
‘Nnunzià, ssi quattro bajocchi che tenéte ve pìino de rancico. |
Ecco, Esso, Ello
Mentre in italiano esiste solo la forma dell’avverbio «ecco» («ecco qui», vicino a chi parla), in genzanese ad essa si associano anche le forme «èsso» («ecco lì», lontano da chi parla e vicino all’interlocutore) e «èllo» («ecco là», lontano da chi parla e dall’interlocutore). Tutti questi avverbi si usano sia per indicare oggetti reali, sia parti del discorso.
Esempi:
Oh, fréghite, ecco, ‘rrivo, mo manco du’ chiacchiere se pònno fà più. |
Esso ve’, vojatri òmmini: tutti uguali séte (parla una donna a un uomo; se fosse stato un uomo a parlare ad un altro uomo la frase probabilmente si sarebbe trasformata così: ecco ve’, noatri ommini semo tutti uguali; e se il discorso fosse stato tra due donne: èllo ve’, l’ommini sò tutti uguali.) |
Chié, ello ‘Nnunziata, stasera già scegne. |
Queste forme si usano spesso in associazione ai pron. pers. atoni «me», «te», «ce», «se», «ve», «lu», «la», «lo», «le», «li» e alle particelle «ne», «ce», in posizione enclitica, secondo questa tabella:
ècchime |
èssime |
èllime[2] |
ècchite |
èssite |
èllite |
ècchelu |
èsselu/èssu |
èllelu/èllu (maschile) |
ècchela |
èssela/èssa |
èllela/èlla (femminile) |
ècchelo |
èsselo/èsso |
èllelo/èllo (neutro) |
ècchice |
non attestato |
non attestato |
ècchive |
èssive |
èllive |
èccheli |
èsseli/èssi |
èlleli/èlli |
ècchele |
èssele/èsse |
èllele/èlle |
ècchine |
èssine |
èlline |
Di «esso» e «ello» + «lu», «la», «lo», «li» e «le» le forme contratte vengono usate di preferenza insieme all’intercalare «ve’» o simili:
èssu, ve’ (eccolo lì, vedi) |
elli, ve’ (eccoli là, vedi), ecc… |
Esistono, come in italiano, anche combinazioni di più pronomi personali o particelle pronominali, ad esempio:
ècchitelu |
èssitelu |
èllitelu |
ècchivelu |
èssivelu |
èllivelu |
ècchitene |
èssitene |
èllitene, ecc... |
Pronomi personali
In genzanese vengono usati i seguenti pronomi personali:
Con funzione di soggetto:
Io (Allora chisti venno, e io stevo a dormì). |
Tu (Tu si fatto na cosa malamente). |
Issu (Quanno issu lavoreva da u Commendatore). |
Éssa (Éssa o tè piantato a’a vigna). |
Ésso (Tanto o callo è ésso!). |
Noi/noa[3] (U chiamessimo coccione noi). |
Voi/voa[4] (Sempre lì ‘ndò jate a magnà voi). |
Issi (Issi, si magnevino a domenica, nun magnevino u lunedì). |
Ésse (Ésse mica se sò accusate niciunu). |
Rispetto ai pronomi italiani, c’è da notare la forma del neutro alla terza persona singolare «ésso», riferito a sostantivi neoneutri, ossia di sostanza (caffè, sale, vino, ecc...) o percepiti come non numerabili (sole, feghito, ecc...) da non confondere con il pronome italiano «esso», usato per cose o animali (in genzanese il cane è sempre issu) o con l’avverbio «èsso» (che ha la «e» aperta).
Complemento oggetto:
me, te, lu/u, la/a, lo/o, ce, ve, li/i, le/e.
Alcuni esempi:
Me si capito? |
|
Ve ci ha mannati issu? |
Le forme piene «lu», «la», «lo», «li» e «le» vengono utilizzate solo in posizione enclitica:
Pìelu ‘n po’. |
|
Tengo da ìlle a vedé io. |
Le forme ridotte «u», «a», «o», «i» ed «e» sono usate invece in posizione proclitica:
U si vistu tu? |
|
A èssimo piàta noi. |
Da notare che in certe circostanze questi pronomi «spariscono», fondendosi con la vocale seguente (dando luogo cioè a una crasi). In tali casi, la vocale rimasta si allunga nella pronuncia.
gn’o sò ditto (glielo ho detto); n’ gn’hâ ditto che no! (altro che se gliel’ha detto).
Nell’ultimo esempio la «â» del verbo «avere» ha inglobato anche il complemento oggetto.
Altro esempio:
ha visto e sorèlle (ha visto le sorelle); hâ viste, e sorelle? (le ha viste, le sorelle?)
In quest’ultimo caso, oltre all’allungamento della vocale, la fusione del pronome ci è segnalata anche dal participio passato del verbo coordinato appunto con il pronome «sparito».
Per gli altri complementi, esistono due forme pronominali:
-per il dativo e per i pronomi atoni in posizione enclitica:
«me», «te», «gne», «ce», «ve» («gne»= «a lui»; «a lei»; «a loro»).
Me piace assai. ‘Mparétigne a ‘ccènne u focu.
-per tutti i complementi introdotti da preposizione:
«mi», «ti», «issu»/«essa», «noi», «voi», «issi»/«esse».
A ti n’ te piace. Sto a fà na scialla pe mi.
[1] La forma al neoneutro ha di regola solo il singolare, perché i sostantivi neoneutri sono associati appunto a termini non numerabili e a elementi del discorso.
[2] Anche se forme rare, si può immaginare una situazione in cui è possibile utilizzare gli avverbi èssime e èllime (per esempio, individuando la propria immagina in una fotografia)
[3] Forma antica non più usata attualmente.
[4] Forma antica non più usata attualmente.
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